Lo Sport e le donne in Afghanistan, perchè i Talebani lo vietano
di Annamaria MangiacasaleAttualità05 Dicembre 2021 - 21:05
Correre, inseguire un pallone, fare goal e poi ancora esultare: in quel sussulto, in quell’urlo liberatorio, risiede l’essenza dello sport. La corsa a volte non è soltanto contro il cronometro, ma anche contro il tempo della storia. Sfidava quelle lancette Kamia Yousufi (velocista afghana e portabandiera olimpica), stabilendo a Tokio il record nazionale sui 100 metri. Abbattere il muro del tempo è riuscito a Kamia, ma il suo scatto non è stato veloce quanto l’avanzata parallela degli studenti coranici; così mentre lei volava sul tartan della pista di atletica, a Kabul trionfava l’oscurantismo. In Afghanistan la paura di quello che accadeva tra il 1996 e il 2001 all’epoca del regime talebano tornava ad essere realtà. I talebani hanno deciso che alle donne sarà vietato fare sport, perché non “è necessario” ed “espone i loro corpi”. Il divieto è scattato per una partita di cricket che le afghane avrebbero dovuto giocare in Australia, ma è stato esteso a tutti gli sport.
Cosa significa e perchè vietare lo sport alle donne?
Nel caso di Khalida Popal, l’essere nata in Afghanistan, ha stoppato la corsa di quel pallone che inseguiva da bambina, come il migliore dei difensori; ma un bomber si sa, non si ferma mai. Dopo un esilio lungo 9 anni, Khalida torna a Kabul e insieme alle compagne di studi crea la prima squadra femminile afghana, con l’autorizzazione ad organizzare tornei; nel 2008 vengono riconosciute come la Nazionale ufficiale del Paese e giocano la prima partita con la selezione femminile del Pakistan. La partita vera è però quella che si gioca fuori dal campo: contro i fratelli, i padri, i mariti e tutto il passato; per questo è già vinta. Khalida è oggi uno dei membri chiave dietro l’evacuazione delle giocatrici delle nazionali afgane minacciate dai talebani ed è considerata non soltanto come il simbolo del calcio femminile in patria, ma anche della Resistenza, della voglia di normalità. Attraverso la sua voce lotta per la conquista di ciò che in tante realtà è considerato ovvio, come il gioco del calcio, ma nel suo Paese assume i contorni netti di una lotta alla sopravvivenza, volta al riconoscimento dei diritti umani. La stessa Carta Olimpica recita che “la pratica dello sport è un diritto umano. Ogni individuo deve avere la possibilità di praticare sport, senza discriminazioni di alcun tipo”. Secondo l’oscurantismo talebano, però, consentire alle donne di fare sport equivale a minarne la moralità. Così, al di là di un’inferiorità che va sempre accentuata e ribadita, assistiamo quasi alla negazione dell’esistenza del corpo femminile: non va mostrato, quindi neanche allenato. La prestanza fisica appartiene esclusivamente alla sfera maschile. Soprattutto, lo sport è un modo di esprimere sé stesse, è gioia, condivisione, fare squadra. Così educate, alle bambine afghane viene tolta la possibilità di confermare a sé stesse il proprio valore personale. Le donne vengono private, non solo della loro libertà individuale, ma anche di quella collettiva.
Un altro aspetto della mancata pratica di sport tra le donne, non secondario, è legato al beneficio fisico e psicologico che porta l’attività fisica. Negli ultimi anni il tasso di obesità nel paese è cresciuto, in particolare fra le donne, e così anche le malattie ad essa correlate, come il diabete e le patologie cardiovascolari. L’instaurazione del “nuovo” regime avrà pur comportato un ritorno al passato, tuttavia i talebani non devono dimenticare che le donne con cui oggi si confrontano sono quelle del presente, abituate a una vita diversa, che hanno visto il loro mondo cambiare. Sono state capitane di squadre sportive, hanno lavorato in posti da sempre attribuiti agli uomini, hanno assistito all’apertura delle palestre anche per loro. Sono le nuove generazioni. Se per quelle passate, il cambiamento è stato soltanto un’illusione crollata senza il tempo di accorgersene, per le donne del presente c’è spazio ancora per coltivare un’ulteriore speranza, perché come diceva Nelson Mandela:
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo. Ha il potere di suscitare emozioni. Ha il potere di ricongiungere le persone come poche altre cose. Ha il potere di risvegliare la speranza dove prima c’era solo disperazione”.
Credit Photo: AIC – Associazione Italiana Calciatori