In casa Ortigia si fa la conta dei rientri e degli assenti. Pian piano, a scaglioni, man mano che si negativizzano, stanno tornando i giocatori colpiti dal Covid-19, alcuni sono già rientrati in acqua l’altro ieri, qualcuno si è rivisto ieri a bordo vasca, ma senza allenarsi, altri sono ancora a casa, positivi. Mister Stefano Piccardo, tra sessioni di nuoto ed esercizi tecnici, lavora sulla condizione dei giocatori a disposizione, in un clima sospeso, tra amarezza e speranza, in attesa di conoscere l’esito del ricorso presentato alla LEN. Dopo capitan Napolitano, anche il tecnico dell’Ortigia rompe il suo silenzio e, in una intervista sul sito del club, parla della situazione, della sua opinione rispetto a quanto accaduto e del lavoro da fare per risollevare il morale della squadra. Sull’attesa per il ricorso, il coach biancoverde non sembra particolarmente ottimista: “Si spera sempre, è chiaro, ma con un ottimismo molto timido, perché comunque la prima sentenza si fa fatica a capirla, sia sul piano giuridico sia su quello sportivo. Aspettiamo notizie sull’esito del ricorso. Mi sembra che la LEN non sia tuttora molto chiara, così come non lo è stata nello specificare le ragioni della sua decisione, visto che ha semplicemente detto che abbiamo perso 10-0. Speriamo, quantomeno, che questa volta, qualsiasi sia la decisione che assumeranno, ci siano delle motivazioni chiare”.
Tanti i sentimenti che pervadono Piccardo, da uomo di sport e di pallanuoto, prima ancora che da allenatore dell’Ortigia: “Da uomo di sport – afferma – il primo sentimento che provo è il disgusto. Provo vergogna verso una istituzione che è quella che organizza questa coppa e che non ha assoluto rispetto per i partecipanti. Una mancanza di rispetto dimostrata dal fatto che la LEN non è stata capace nemmeno di produrre un regolamento consono all’Euro Cup e non mutuato dalla Champions League. Questo è il mio sentimento verso chi amministra il gioco, in questo caso specifico verso chi amministra l’Euro Cup. Non capisco in che modo si possa prendere una decisione di questo genere, visto che non avevamo modo di presentarci, visto il numero di positivi e il divieto dell’Asl di muoverci. Ma anche nel caso in cui l’Asl non avesse disposto la quarantena, saremmo stati al massimo in 6, tra cui altri giocatori poi risultati positivi il giorno stesso e quello successivo. Oltre a questo, penso poi a tutto quello che è il gusto di giocare una semifinale di questa portata, un evento storico per la pallanuoto siciliana, per la città di Palermo e quella di Siracusa, per la pallanuoto italiana. Ricordo che ci fu un’altra semifinale italiana, che aveva avuto un sacco di successo mediatico. Mi sembra proprio che sia stato svenduto quello che è lo stesso prodotto della LEN. ”.
Il rammarico più grande, qualora il ricorso non dovesse essere accolto, sarebbe proprio quello di non poter disputare sul campo un match così atteso: “Perdersi l’adrenalina, non vivere quel momento magico, il pre-partita, la partita in sé, un match così importante dopo il cammino che abbiamo fatto noi e hanno fatto loro, è qualcosa che mi lascerebbe l’amaro in bocca. Mancherebbe l’appagamento di giocare una gara tanto desiderata e per la quale si è combattuto tanto. Non giocarla non per una nostra mancanza, perché ricordo che siamo dentro una pandemia e che a noi hanno tolto una finale di coppa, quando eravamo gli unici finalisti. Per lo stesso criterio allora, due anni fa, avrebbero dovuto assegnarci la Coppa d’ufficio”.
In attesa dell’esito del ricorso, c’è da risollevare il morale di una squadra che indubbiamente ha vissuto con delusione e rabbia la decisione della LEN: “La squadra – conclude Piccardo -, o meglio quelli che sono disponibili, ha cercato di pensare a lavorare, di ricominciare, evitando di parlarne o facendolo il meno possibile. Ci si risolleva da questo momento lavorando, non pensandoci. Ho visto qualche mio giocatore seriamente provato, quindi ora l’aspetto mentale è quello che conta, bisogna stringerci, stare vicini, usare poche parole. Ho cercato di dire ai miei giocatori di non entrare in alcuna polemica, perché penso sempre che le persone debbano distinguersi in certi momenti, far vedere la loro caratura, stando attenti a soppesare le parole, altrimenti finiamo in questo tritacarne in cui chiunque parla, commenta, anche senza sapere come stanno le cose. Io parlo di cose che so, parlo del mio lavoro”.