Paolo Tofoli: tra i più talentuosi palleggiatori al mondo e uno dei giocatori più vincenti nella storia della pallavolo italiana e internazionale. La serie di titoli che portano la sua firma è impressionante, come tutta la sua longeva e brillante carriera. Due argenti e un bronzo olimpici, due ori mondiali, quattro ori europei, più un argento, per un totale di 27 medaglie in competizioni internazionali. Tre scudetti, una Coppa Italia, una Coppa Campioni, una Coppa delle Coppe, quattro Coppe Cev, una Supercoppa europea. 342 volte in Nazionale per 17 anni con la maglia azzurra, in attività per ben 24 stagioni. Oggi allenatore, pieno di sogni e ambizioni.
Nato a Fermo, ma cresciuto a Fano, dove ha i suoi natali pallavolistici, pilastro della “Generazione dei fenomeni”. Tra le definizioni usate, la più calzante per Paolino è forse quella di “leader silenzioso”. Regista dalla straordinaria precisione tecnica e incredibile costanza di rendimento ha, infatti, sempre fatto parlare le sue scelte tattiche, senza mai un comportamento fuori posto, con toni sempre moderati e una correttezza che gli è valsa diversi premi fair-play. Un atteggiamento in campo che lo fa ricordare per l’estrema lucidità e sicurezza anche nelle fasi più concitate della gara. La freddezza e la capacità di concentrazione sono, di sicuro, le caratteristiche che un buon palleggiatore deve sempre avere, essendo il fulcro di ogni azione e tattica di gioco, ma in Tofoli queste qualità diventano indice di affidabilità e di successo, tramutandosi in una intelligenza strategica e intensità mentale, che lo hanno reso unico nel suo ruolo.
La percezione che si aveva vedendolo giocare era quella che sapesse sempre quale fosse l’attaccante più decisivo, il finalizzatore più pronto a chiudere l’azione. Adottava la scelta giusta per il momento palesando un intuito disarmante e un’innata abilità di gestione del gioco e insieme degli aspetti tecnici e caratteriali dei propri attaccanti. Del resto, lo stesso Paolo ha affermato che “il palleggiatore rimane un ruolo in cui la mente è importantissima: devi essere un po’ psicologo, devi capire al massimo i tuoi compagni, chi hai attorno, a chi affidare la palla sul 24 pari, lo schema migliore, la palla a chi darla quando scotta”. È un ruolo complesso con tante componenti, in cui occorre prima di concentrarsi sugli avversari, studiare come gioca la propria squadra e dialogare con l’allenatore, facendo da tramite tra quest’ultimo e i compagni. L’alzatore non è un ruolo come tutti gli altri, non solo perché dei quattro fondamentali della pallavolo, l’alzata è una sua prerogativa per così dire esclusiva, ma anche perché deve essere dotato di una sensibilità personale tale da stabilire quasi una telepatia con il resto della squadra tutta, sia con i propri schiacciatori sia con il mister, in una connessione alchemica e sintonia comunicativa, che si traducono poi in giocate perfette, e quindi in successi.
Un continuo lavorare e ragionare al servizio degli altri dovendo attingere necessariamente da qualità come umiltà e propensione al sacrificio, che sono state parte formante di un campione come Tofoli fin dai suoi inizi. Nel 1989 pescato da un giovane Velasco, solo dopo pochi anni in serie A nel Petrarca di Padova, preferito inaspettatamente a Vullo, più alto, più esperto e più vincente di lui (vox populi più forte di lui), ha dovuto rimboccarsi le maniche e cominciare a lavorare sodo per dimostrare di meritare il posto da titolare in Nazionale.
La consapevolezza dei propri limiti è stata un fattore fondamentale per affrontare e vincere la scommessa fatta da Velasco su di lui, punto di partenza della sua rivoluzione. In particolare, aveva coscienza di possedere un muro di solo contenimento e di dover fare sempre qualcosa in più in difesa per compensare, un’ottima battuta ma non propriamente il suo punto di forza. Lontano da ogni individualismo e nel silenzio mediatico, Tofoli ha, allora, lavorato ambiziosamente sulla propria tecnica e sul proprio intuito. Comincia, così, a smistare palloni con semplicità e costanza scoraggianti per gli avversari e a interpretare al massimo il concetto di gruppo ponendo i suoi compagni nelle condizioni migliori di attacco per altezza e velocità delle alzate. Mostra determinazione e coraggio quando gioca in primo tempo sul centrale anche palloni ricevuti lontano da rete; nelle azioni di contrattacco spiccano le alzate, al posto quattro, di palla alta molto precisa, scelte molto efficienti contro i muri chiusi e alti. La sua regia rappresenta alla fine una sublimazione della famosa teoria degli alibi di Julio, secondo cui l’attaccante risolve e non discute, proprio perché con Tofoli era molto più facile metterla in pratica.
Il segreto del palleggiatore marchigiano, condiviso con gli altri “fenomeni” azzurri, risiedeva in una mentalità agonistica vincente che li portava, all’indomani di ogni vittoria, a ritrovarsi in palestra come se non avessero vinto niente. Un “mosaico” di atleti, diversi tra loro, tutti forti di testa, che non mollavano mai e non si sentivano mai appagati, volendo sempre migliorarsi senza mai adagiarsi: la squadra del secolo.
Nelle parole di Silio Rossi, autore della biografia, le mani di Paolo Tofoli da cui sono passate i celebri successi velaschiani e le più belle vittorie trevigiane, sprigionavano “il fuoco e la poesia”. “Il fuoco” di chi ha dovuto alimentare il talento che gli veniva riconosciuto, con la passione sempre accesa nel lavoro costante in palestra e nelle innumerevoli battaglie in campo. “La poesia” di chi del palleggio ha fatto un’arte, giocando con le emozioni dello spettatore e facendo sognare milioni di sportivi. Una poesia ispiratrice di tantissimi ragazze e ragazzi, che hanno cominciato a giocare a pallavolo trasportati dalla magia di quelle gesta da vero artista.