Francesco Moser, sua “Eccellenza” il ciclismo. “Amo tornare in Sicilia, ho ricordi straordinari”

di Nunzio Currenti

Quando racconta la storia della sua carriera lo sguardo è fiero. Basta ammirarlo negli occhi per rivivere con passione attraverso la sua voce le vittorie, ben 273, che descrive con straordinaria precisione, i ricordi e gli aneddoti.

Francesco Moser – premiato ieri sera al Galà dello Sport “La Castagna d’Argento”, tenutosi all’hotel Villa Itria di Viagrande – è una leggenda che vive ancora nel cuore di appassionati e amanti del ciclismo che ricordano ancora le sue imprese.

“Torno spesso in Sicilia. Sono venuto a Milazzo ad agosto per ricordare Peppino Lucchesi. Eravamo molto amici. C’eravamo visti al Giro 2022. Sono venuto a correre in Sicilia per la prima volta nel 1969. Un’esperienza indimenticabile. Sembrava non arrivare mai con il treno fino a Napoli e poi in traghetto direzione Palermo. Poi nel 1979 vinsi il campionato italiano e tante altre gare”.

Il suo rapporto con Turi D’Agostino

“Nel 1977 organizzò il Criterium degli Assi. C’erano pure Gimondi e Bitossi in quella corsa d’agosto. Arrivai terzo proprio dietro Felice e Carmelo Barone, che ho rivisto volentieri qualche settimana addietro in Toscana. Lui corse nella mia squadra, dopo la vittoria sull’Isola dell’Elba al Giro su Baronchelli”.

Quel giorno ad Acicatena pubblico straordinario

“Che caldo infernale, che folla impressionante. Quello è un anno speciale visto che vinsi il Mondiale a San Cristobal. Diventammo amici con Turi, tornavo volentieri in questa splendida isola. Non a caso ad Acicatena indossai il tricolore, vinsi anche tre edizioni del Giro dell’Etna (dal 1984 al 1986)”.

Nel 1976 il Giro d’Italia parte da Catania. Un giorno terribile per la corsa rosa.

“Il giorno in cui morì Santisteban in quella curva di Aci Sant’Antonio. Ma anche nella semitappa di Siracusa ci furono tante cadute rovinose. Pioveva tanto, le strade scivolose. Non lo conoscevo direttamente. Avevo un rapporto con Fuente, che era il capitano della Kas. Loro vinsero poi a Gabicce Mare, l’undicesima tappa e la dedicarono allo sfortunato compagno di squadra”.

In quel Giro arrivarono grandi soddisfazioni.

“Giunsi alla fine quarto. Ma vinsi in Sicilia la tappa partita da Cefalù e che si concluse a Messina, regolando De Vlaeminck. Poi vinsi la crono di Ostuni e a Varazze”.

La Sicilia negli anni ha sfornato Nibali, Visconti e Caruso. Il futuro è tutto da definire.

“Conta molto l’attività. Ai miei tempi c’erano tantissime gare, molti criterium. Servono le società sportive che lavorano da piccoli. Dalla massa esce dalla qualità. La Slovenia è una Nazione piccola, ma sforna talenti in quantità industriale, ma è un caso, se vogliamo. In Belgio lo sport nazionale. In tutte le stagioni hanno sempre avuto grandissimi campioni”.

Lei vinse il Giro del 1984 che fece epoca con la straordinaria rimonta nella crono. Ma le manca qualche vittoria?

“Nel 1977 vinse Pollentier. Se fosse rimasto Maertens in corsa avrei potuto vincere. Michel era gregario, vinse l’ultima crono su di me a Binago (Moser giunse a 30” ndr). Sono arrivato altre due volte sul podio (dietro Saronni nel 1979 e nel 1985 dietro Hinault).

Con il record dell’ora a Città del Messico si è registrato un passaggio generazionale con l’uso delle lenticolari e del casco.

“Sì, un passaggio dal ciclismo tradizionale a quello tecnologico. Sono stati introdotto sistemi di allenamento basati sull’aerodinamica anche perché fino a quel momento non veniva considerata in pieno”.

Si è fatto un’idea perché già a 20 anni i ciclisti della nuova generazione vanno così forte?

“L’alimentazione ha preso un posto significativo. In più i metodi di preparazione sono cambiati. La possibilità di avere i materiali giusti, al passo con la tecnologia, completa il quadro. Certo, senza dubbio, oggi si matura già giovani, ai miei tempi non era così. L’esperienza sulle strade era fondamentale”.

Cosa le piace di Damiano Caruso?

“Nelle corse a tappe quando ha avuto fiducia ha dimostrato il suo valore. Un anno avrebbe potuto vincerlo. È stato un gregario per tanti anni. Ora non è facile, ma farà ancora bene”.

È molto legato all’Etna. Di tutti gli arrivi negli ultimi quale, secondo lei, è stato il più spettacolare.

“L’arrivo del 2011 con Contador primo a Rifugio Sapienza. Quel giorno dimostrò tutta la sua forza staccando tutti. Nell’ultimo vinto da Kanma c’era davvero freddo quel giorno”.

In Sicilia hanno investito tanto sul ciclismo.

“Insomma, come non ricordare Pantalica, Giro dell’Etna, tutti i criterium dell’epoca. È ripreso il Giro di Sicilia che sta assumendo un buon livello come qualità tecnica al via. Il Giro è tornato tante volte. Se c’è attività si crea attenzione ma anche la possibilità che emerga quel talento che possa emulare i vari Nibali, Visconti e Caruso”.

Il suo rapporto con il Tour de France

“Sono andato sono una volta. Era il 1975. Indossai la maglia gialla dal prologo di Charleroi, vinto su Merckx. Andai in giallo sei giorni (sette volte se si considerano le semitappe di Molenbeek e Roubaix ndr). Vinsi anche ad Angouleme. Non sono più tornato. Fare due corse a tappa era impegnativo. Io non ero proprio uno scalatore. E i giri si vincevano in salita”

La Parigi-Roubaix è forse la corsa che più ama.

“Mi trovavo bene, esaltava le mie doti. I francesi mi volevano bene”.

Il rapporto con il ciclismo ancora oggi è attivo.

“Faccio il Giro con Mediolanum. Ho continuato negli anni con Motta, Fondriest, Bettini e Ballan, ultimo campione del mondo italiano”

Non rinuncia ad andare in bicicletta.

“Pedalare, mi piace, mi fa bene. Vado ancora a sciare”. La storia continua

I premiati del Galà dello Sport “Castagna d’argento”