Nel ricordo di Luca Vialli, ad un anno dalla scomparsa di un mito che sapeva emozionare

di Alessandro Teri

A dir la verità non ricordavo di preciso la data in cui sarebbe ricaduto il primo anniversario dalla scomparsa di Gianluca Vialli. Ho nitido in mente il momento in cui appresi la notizia, ma il resto era rimasto in questi mesi avvolto da una nebbia dovuta al dispiacere per la perdita di un mito che mi ha accompagnato per più di trent’anni. Era comunque il 6 gennaio dello scorso anno, quando venne reso noto ciò che ormai sembrava imminente, dopo che si seppe come i familiari più cari erano volati a Londra, nella città che aveva scelto come residenza per sé, la moglie e le figlie, ricoverato in ospedale per gli ultimi scampoli di una vita carica di emozioni.

La maglia numero 9

E però di emozioni Luca, come semplicemente si firmò in un autografo che gli chiesi per eternare la maglia blucerchiata da me custodita fin dall’anno del magico scudetto sampdoriano, ne seppe regalare tantissime a chi ha avuto la fortuna di tifare per una squadra in cui portò il suo indelebile numero 9. Amato incondizionatamente per tutto ciò che sapeva trasmettere al pubblico, e che gli ritornava moltiplicato per il numero di gol segnati, per lo smisurato impegno mai risparmiato, per tutta la dedizione alla causa, del club o della Nazionale, che ci metteva sempre.

Sempre assieme al suo gemello del gol

Poi venne anche per lui il giorno del ritiro, seguito dagli anni in cui diventò un volto televisivo come commentatore, fino a quando non dovette comunicare l’irrompere nella sua esistenza della malattia, squarciando quel velo di invincibilità che contorna tutti i campioni dello sport. Accanto a lui, sempre pronto a servirgli l’assist giusto, si ritrovò anche in quel momento Roberto Mancini, il gemello acquisito negli splendidi anni genovesi. E fu grazie all’ex ct della Nazionale italiana che Vialli assolse alla sua ultima missione, nelle vesti che meglio non potevano calzargli di team manager degli azzurri.

Il paradiso poteva attendere

Indelebile rimarrà la sua immagine con in braccio la coppa conquistata meritatamente nella perfetta spedizione italiana ai Campionati europei di tre anni fa, a coronamento di una vita calcistica che con Wembley aveva un conto ancora da chiudere (Samp – Barcellona, finale di Coppa campioni, 20 maggio 1992, meglio non aggiungere altro). Fu quel trionfo, ancora una volta accanto a Bobby Gol, la chiusura di un cerchio che può avergli reso più lieve il passaggio, che non doveva avvenire così presto, alla dimensione di leggenda.