Correva l’anno 1982, in quel caldo mese di ottobre c’era ancora da festeggiare. Dopo tre lunghi mesi da quell’ 11 luglio, c’era ancora un’ aria frizzante nell’ aria di tutta la penisola, qualcosa di importante forse mai visto ed irripetibile.
Nonostante i circa centodieci giorni trascorsi, gli italiani erano ancora con la testa al Santiago Bernabeu e ancora avevano negli occhi l’esultanza di Pertini, la gioia di Beazot e poi la Coppa color oro, quella realizzata dall’ italiano Silvio Cazzaniga alzata da Zoff. E nelle orecchie l’ urlo di Tardelli. La prima uscita della nazionale campione del mondo fu proprio quel 28 ottobre e gli organi federali scelsero per l’amichevole, la Svizzera che allora rappresentava una squadra di seconda fascia per non dire di terza tra le nazioni calcistiche europee. Perché dunque si scelse la Svizzera? I motivi era due, il primo legato al numero della sfide della Nazionale azzurra che appunto vedeva la Svizzera la squadra che aveva giocato più partite nella storia del calcio con gli azzurri, il secondo ancora più nostalgico. Infatti prima di partire per il mondiale spagnolo, gli azzurri giocarono l’ultima gara amichevole proprio con la Svizzera, gara finita 1-1, con reti dell’ elvetico Barberis e dell’ italiano Cabrini. E per rendere ancora tutto surreale arrivò dal Brasile Coelho l’arbitro che con il suo triplice fischio aveva fatto esultare il telecronista Mando Martellini in diretta Tv con la famosa frase “Siamo Campioni del Mondo” ripetuta ben tre volte.
Insomma i presupposti c’erano tutti per immergersi in una notte di ricordi. O da favola. Quella partita fu vista da milioni di telespettatori, un’ amichevole che non era tale, perché questo tipo di gare servono a studiare la tua squadra per capirne i difetti, per provare nuovi strategie di reparto, per provare nuove pedine. Niente di tutto ciò. Non era un’ amichevole e forse non era nemmeno una partita di calcio. Era una festa e tale doveva essere, senza tattiche, schemi.
E cosa successe agli azzurri quella sera, in quel “dì di festa”? Semplicemente quello che non dovrebbe accadere in una festa! Come una specie di pioggia d’estate che si abbatte improvvisamente la sera delle nozze sugli sposi e sugli invitati mentre si sta per tagliare la torta, arrivò Elsener, un Carneade sconosciuto ai calciofili che rimase nella storia, infilzando gli azzurri all’ inizio del secondo tempo e riportando le lancette del tempo indietro di qualche mese, precisamente un mese prima della finale del Santiago Bernabeu. Quel ragazzo, Elsener riportò gli azzurri indietro a Vigo, luogo da cui partì la “campagna di Spagna”, dove gli azzurri avevano balbettato con Polonia, Perù e Camerun. Prima di finire nel girone dantesco con Argentina e Brasile.
Vigo, città di mare, in una Spagna atlantica con quel vento fresco della Galizia, tagliente soprattutto nelle sere fresche di primavera, arrivò anche a Roma quella sera. Tre mesi dopo. Non ci fu pioggia, ne torte bagnate, ma semplicemente un tuono che ci risvegliò da un sogno aprendo un nuovo periodo non bello, con l’eliminazione degli Europei 1984 e critiche infinite. Bordon, il sostituto di Zoff, che prende la palla in fondo alla rete rappresento la fine di un periodo di festa. Che svanì proprio dopo quel sogno di mezza estate e con esso si stava per dissolvere l’immagine sorridente dell’ eterno ragazzo Paolo Rossi. Non fu una grande tempesta quella sera ma solo un fulmine, un lampo: il gol di Elsener.
Italia – Svizzera 0 – 1
MARCATORE: 53’ Elsener.
ITALIA: Zoff, (46’ Bordon), Gentile, Cabrini, Marini (84’ Causio), Collovati (84’
Bergomi), Scirea, Conti, Tardelli (46’ Dossena), Rossi (31’ Altobelli), Antognoni,
Graziani; 2. Baresi, 8. Vierchowod, 17. Massaro, 21. Selvaggi.
SVIZZERA: Burgener, Luedi, Heinz, Hermann, Egli, Geiger, Wehrli, Favre,
Decastel, Sulser, Ponte, Elsener (57’ Braschler); 12. Berbig, 13. Weber, 14. In-Albon,
15. Maissen.
ARBITRO: Coelho (Brasile).