L’impresa di Fabio Monasteri, che trova il suo Everest su Monte Pellegrino

di Redazione

Cosa vuol dire scalare l’Everest? Solo in pochi lo sanno, e tra questi ora c’è il siciliano Fabio Monasteri, che ha avuto modo di fare un’esperienza così estrema stando a Palermo…sì proprio così, Fabio ha percorso lo stesso dislivello che serve per arrivare in vetta alla montagna più alta del mondo, che misura 8848 metri, arrivando in cima a Monte Pellegrino con la sua bicicletta per 26 volte di seguito, in un tempo di 32 ore 15 minuti 40 secondi, percorrendo una distanza di 416,78 chilometri, senza mai dormire. Una vera e propria impresa, compiuta lo scorso 29 giugno, che gli è valsa la speciale e ambita omologazione Everesting con l’ingresso nella Hall of Fame, che ci siamo fatti raccontare in quest’intervista.

Cominciano dall’inizio Fabio, quando hai pensato di cimentarti in un’avventura così speciale?

L’idea è nata una decina di anni fa, quando ho incominciato a pedalare a livello sportivo, e sono venuto a conoscenza di questo Everesting. È stata una sfida che mi ha subito affascinato, ma l’ho sempre vista irraggiungibile. Poi man mano negli anni ho fatto esperienze sempre più estreme, come varie Randonnee nelle quali mi sono spinto più in là dei 200, 300, 400, 600 chilometri, tra l’altro senza dormire. Poi c’è stata la Paris Brest Paris. Questi allenamenti mi hanno sicuramente temprato nel fisico e nella mente, e quest’anno, dopo aver fatto a maggio la Sicilia No Stop, mi sono sentito pronto a fare il mio tentativo con l’Everesting.

Perchè hai scelto proprio Monte Pellegrino?

La mia scelta è ricaduta su Monte Pellegrino perché non sapevo bene a cosa andavo incontro, quindi ho optato per una montagna vicino casa, con un dislivello non altissimo, anche se ad un certo punto ne ho odiato i vari tornanti con i ciotoli, da affrontare in discesa con le mani indolenzite e i classici dolori al fondoschiena. A ripensarci è stato un calvario, soprattutto a causa delle temperature di fine giugno: nel primo pomeriggio c’erano 39 gradi, senza ombra nè un filo di vento, con il sole che non dava scampo.

Ad un certo punto hai pensato di mollare? E come hai trovato la forza per resistere?

Nei momenti più critici ho dovuto far affidamento su tutta la mia tenacia e tutta la resistenza che ho. Mi ha aiutato pormi dei micro obiettivi. Cioè non mi sono fissato da subito a raggiungere la quota massima. Poco a poco ho affrontato la prima metà di percorso, e allora mi sono detto ‘ok, va bene così, ora proviamo a finirla’. Mi sono aiutato con la macchina che avevo lasciato alla base della salita, avendola caricata con tutto ciò che ritenevo necessario, ovvero l’acqua ghiacciata con cui riempivo la borraccia ad ogni giro, barrette di riso, crackers, zuccheri, frutta. Ho cercato di gestirmi, riducendo la potenza al minimo, e non superando i 130/140 battiti al minuto.

Come ti sei preparato, chi c’era ad assisterti e starti vicino?

Mi sono preparato da solo, non mi ha seguito nessun personal trainer. Sulla strada mi alleno affidandomi alle mie sensazioni, capendo quando devo spingere e quando andare più piano. Durante il tentativo dell’Everesting c’erano i miei amici a supportarmi, e mi hanno prestato una borraccia per spruzzarmi che è stata la mia salvezza, la usavo nei momento in cui il caldo era insostenibile e mi ha dato la vita.

Dove trovi le motivazioni per affrontare queste imprese?

Io ho la mia famiglia, sono un genitore di due ragazzi ormai adolescenti. Sono un impiegato e svolgo un lavoro altamente stressante, dunque per me lo sport è un’evasione che mi porta anche a vivere delle avventure dove magari mi trovo nel silenzio più totale, da solo con la mia bici.