Giuseppe Marotta e la Sicilia, un legame che lo riporta alle sue origini e che avverte ancora forte, mentre è giunto all’apice della carriera. La lunga assenza delle squadre dell’isola dai grandi palcoscenici, i pochissimi calciatori siciliani che militano in Serie A, lo spinoso tema degli impianti sportivi, le scuole calcio. Il presidente dell’Inter campione d’Italia è stato il relatore di spicco del panel “Sport e sostenibilità: gli impianti futuribili per la didattica sportiva” all’Hellenia Yacthing Hotel di Giardini Naxos. L’evento, moderato dal giornalista Emilio Pintaldi, ha visto la partecipazione di Giorgio Stracuzzi, sindaco di Giardini Naxos; Giovanna Spatari, rettrice Università di Messina; Michel Curatolo, presidente Nations Award; Gaetano Majolino, esperto in programmazione per lo sviluppo territoriale; Elvira Amata, assessore regionale per turismo, sport e spettacolo.
Il massimo dirigente nerazzurro ha ricordato come la provincia di Messina lo riporti alla sua infanzia: “Sono nato nel profondo Nord, a Varese, al confine con la Svizzera, ma da genitori nati a Messina. Mio padre ha fatto carriera nella Marina, poi attraverso una legge dello stato è passato al Ministero delle finanze, destinazione Varese, dove sono nato io. Qui ho tanti parenti, sono legato alle nostre radici, conservo i contatti e le frequentazioni. Parlo però il dialetto lombardo e invece non conosco bene il siciliano”.
Sul Messina, di ieri e di oggi, dice: “Conosco molto bene la storia del Messina, specie degli anni ’60/’70 quando ero giovane e aveva in squadra giocatori come Ciccolo e Fascetti. Ho assistito a qualche partita al Celeste. Con il San Filippo c’è stata un po’ di sfortuna, perché quando è stato inaugurato uno stadio moderno da lì in poi non sono stati ottenuti risultati eccellenti. Messina adesso è in categorie non consone al prestigio della città e della Sicilia, l’auspicio è che riceva un supporto. Invito l’assessore Amata e la Regione affinché si dia un contributo, non economico, ma coinvolgendo una delegazione di imprenditori perché si possa riportare la squadra sui palcoscenici che merita”.
Sono appena due i calciatori siciliani di nascita (Gallo del Lecce e Gyasi dell’Empoli, entrambi nati a Palermo) che militano in massima serie. Un dato riportato da Marotta su cui riflettere: “Non voglio fare denunce né identificare colpevoli, ma la Sicilia è oggi fuori dal mondo calcistico e sportivo che conta. In Serie A vi sono attualmente solo due calciatori siciliani. Se parliamo di strutture, facendo un confronto tra Brescia e Palermo, vicine come numero di abitanti, a Brescia ci sono 5 volte le scuole calcio di Palermo, che sono poche. Non vi sono soltanto problemi strutturali, ma anche una carenza delle competenze, non tanto della passione, per far sì che si possa essere autorevoli punti di riferimento per i ragazzi. La Sicilia ha un patrimonio turistico, ambientale e culturale, sicuramente è tra le Regioni più belle d’Italia e vorrei tanto che nello sport riuscisse a risalire la china”.
Sulle proprietà straniere sempre più diffuse nel calcio italiano, tra queste figurano anche Catania e Palermo, spiega: “Il modello di riferimento delle società calcistiche è cambiato. Prima c’era un certo mecenatismo nel calcio, anche al Sud, mentre oggi di mecenati non ce ne sono più. Al Nord le squadre erano tutte rette da imprenditori locali che, per un debito di riconoscenza, prendevano a cuore le sorti delle squadre di calcio, vedi la Ignis a Varese, attiva anche in altri sport come il basket, il ciclismo o il pugilato. Oggi quel modello non esiste più, né in Sicilia né in Lombardia, né altrove. In Lombardia, su cinque club in A, uno solo ha proprietà italiana, il Monza, mentre quattro sono straniere, Inter, Milan, Atalanta e Como. In Sicilia, il Catania, seppur parzialmente con un italo-australiano al comando e il Palermo, invece totalmente, appartengono pure a proprietà straniere”.
Sui talenti che faticano ad emergere, con una Nazionale eliminata malamente agli ottavi dalla Svizzera nell’Europeo in Germania, Marotta dà una chiave di lettura dall’alto della sua esperienza: “La mancanza di disponibilità economica e della competenza nel ricercare i formatori, ovvero gli allenatori, ha portato al fatto che non ci sono più i campioni di una volta. Parlo di Antognoni, Rivera, Baggio, Del Piero o Totti. Il livello qualitativo si è abbassato. Il nostro made in Italy sarebbe veramente ricco di talenti, ma questi nascono prevalentemente dai ceti meno abbienti, cresciuti giocando per strada, non certo dalle scuole calcio. Oggi, invece, giocare a calcio lo puoi fare solo ed esclusivamente se paghi le rette delle scuole calcio. Nel segno dell’inclusione bisognerebbe però che i ragazzini giocassero gratuitamente, senza far pagare le rette ai genitori”.