Era il 16 ottobre 1968, una sera olimpica con l’aria di una Città del Messico che ospitava la XIX edizione dei Giochi che era frizzantina sia per il periodo non estivo che per l’altura. Tutto procedeva liscio e cosi come prevedeva il protocollo era prevista la premiazione della 200metri. Quella sera, quel 16 ottobre nessuno (tranne tre ragazzi) aveva previsto quello che stava per succedere.
Il ’68 era stato un anno turbolento con una serie di rivolte che poi hanno condizionato il futuro di gran parte dell’ umanità. Tra tutte la primavera di Praga, gli assassinii di Martin Luther King, le impiccagioni di neri in Rhodesia e in Sudafrica, il maggio francese e la dilagante rivolta giovanile. Un risveglio culturale che non poteva non entrare anche se forzatamente nel Villaggio Olimpico.
Tommie Smith, John Carlos, rispettivamente primo (e con la conquista del record del mondo) e terzo si apprestavano a salire sul podio. Già in mente avevano il “colpo ad effetto” con tutte le TV del mondo a irradiare nelle case dei cinque continenti immagini iconiche indimenticabili. Nel secondo gradino c’è un australiano, Peter Norman la cui storia di quegli attimi sul podio è forse la meno scontata, la più crudele, forse la più eroica, la più dimenticata.
Il dado era tratto: i “neri” Smith e Carlos avevano deciso già qualche ora prima di frantumare il protocollo, il mondo ovattato e perbenista dei Giochi scalfendolo per sempre come una martello nero che sbatte su un bianco e duro marmo. Avevano deciso di portare la loro battaglia per i diritti civili su quel podio. Arrivarono scalzi per denunciare la povertà dei neri d’America e non solo. Non cantarono l’inno nazionale e anzi seguirono quelle note a capo chino fissando solo le medaglie. Il mondo non dimenticherà più quella immagine.
Ma c’è un intruso. Tale Peter Norman australiano, di Melbourne che probabilmente avrebbe meritato più attenzione. Norman pur essendo bianco espresse la sua solidarietà alla causa dei due atleti afro-americani ma in pochi se ne accorsero. Indossò, durante la cerimonia, lo stemma dell’Olympic Project for Human Rights. Le foto e l’immagine dell’ epoca focalizzarono l’attenzione sui due atleti americani quasi dimenticandosi di Norman quasi fosse una presenza casuale, un intruso in una grande comparsa o forse perché identificato come espressione del potere bianco. La verità però è ben altra. Alla vigilia della finale di 200 metri è un perfetto sconosciuto. Al momento della finale però tira fuori dal cilindro una prestazione straordinaria che gli permette di arrivare secondo e ottenere il record australiano….tuttora imbattuto! Dunque possiamo parlaredi un grandissimo atleta. Norman sa che unirsi alla protesta dei due americani significa entrare in un girone infernale dantesco ma il problema era capire come entrarci. In Australia all’epoca vigevano delle leggi sull’apartheid dure quanto quelli del Sudafrica con discriminazioni nei confronti degli aborigeni. Negli spogliatoi c’è un solo paio di guanti neri e Norman consiglia ai due americani di indossare solo un guanto. Di necessità virtù: ecco perché i due pugni “neri” degli atleti sono un destro e un sinistro. Ovviamente al termine della premiazione scoppia la bufera. I due vengono esclusi dal team americano ed allontanati dal Villaggio Olimpico. Il tempo darà loro ragione restituendo la giusta fama. Non è successa la stessa cosa a Norman atleta dimenticato soprattutto nel suo stesso paese, l’Australia, nonostante il suo incredibile talento. Non verrà più convocato a nessuna Olimpiadi successiva, fa fatica a trovare lavoro. Minacciato, avrà problemi di depressione e di alcolismo.
Una riabilitazione forzata fu proposta ad un prezzo altissimo: in cambio di una partecipazione nel comitato organizzativo delle Olimpiadi di Sidney, gli verrà addirittura chiesto di condannare il suo gesto e quelli di Smith e Carlos sul Podio di Città del Messico. Ma Peter Norman non tradirà mai i suoi principi. Nel 2006 si spegnerà per un attacco cardiaco. Solo nel 2012 il Parlamento australiano decide di scusarsi ufficialmente riabilitandolo. Un intruso in quel podio non c’era affatto, anzi!