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Abebe Bikila, storia e poesia nella vittoria all’ Olimpiade di Roma!

Roma, Etiopia, Abebe Bikila, anno
1960, la dolce vita, l’ultima olimpiade umana! Sono questi sinteticamente i protagonisti di una storia in una città che ha fatto la Storia. Quella con la S maiuscola.

Olimpiade irripetibile

Fu un’Olimpiade diversa da tutte le precedenti e da quelle successive. Non sappiamo quanto ci sia di vero in questa ‘sentenza storica” o di orgoglio italiano ma di certo sappiamo che forse un’edizione a misura d’uomo come quella svolta nella capitale italiana non ci sarà mai più. Sceglierne l’evento simbolo è un pò complicato, difficile.

Nella Roma della storia, della dolce vita

Trionfi, leggende, e nella città della città della dolce vita, delle pellicole di vacanze romane non potevano certo mancare i sentimenti limpidi e gli amori platonici. Come quello di Wilma Rudolph, la gazzella nera che oltre agli ori conquistò il cuore di Livio Berruti. La vittoria di Abebe Bikila è comunque l’icona che più trasmette l’immensità della festa di Roma ’60, anche a quelli che allora non erano nati. Fu un evento su cui abbondano spunti di riflessione, parallelismi, similitudini e contraddizioni. Abebe Bikila è nato in un villaggio di nome Jato in una Etiopia fino a qualche decennio prima occupata dall’ esercito italiano poi respinto nonostante l’uso di armi chimiche e altre atrocità ben note contro le popolazioni indigene.

Bikila, chi è costui?

Bikila è figlio di un’ Africa in quel periodo in fermento, con un processo di decolonizzazione in atto con tante guerre intestine ( allora come oggi) tra Stati o tra popoli della stessa nazione quasi sempre direttamente o indirettamente imputabili agli europei. Mai un africano aveva vinto una medaglia alle Olimpiadi ma anche questa è una mezza (falsa) verità perché i pochi africani che prima partecipavano ai giochi gareggiavano con le maglie della nazioni europee colonizzatrici. Gli organizzatori vollero dare un tocco incredibilmente surreale a quella gara lunga 42,195 metri facendola disputare nella serata romana, tra le ultimi luci del giorno e la notte della città eterna, illuminando il percorso con le fiaccole ai lati del percorso. Niente stadio Olimpico per la gara più importante ed è la prima volta nella storia dei Giochi a Cinque Cerchi. Bikila, nato il 7 agosto 1932 (il giorno in cui si correva la maratona alle Olimpiadi di Los Angeles) che corre quella maratona è un perfetto sconosciuto ed è la prima volta che l’etiope affronta i 42 km e 195 metri. Nessuno lo conosce, nessuno si aspetta niente da lui. Comunque vada sarà un successo. È stato scelto dall’ allenatore etiope, uno svedese Onni Niskanen qualche giorno prima della partenza per Roma.

Inizia la gara

Si parte dal Campidoglio, poi Colosseo, Circo Massimo, Fori Imperiali, per arrivare tra le tenebre della città eterna nell’ Arco di Costantino senza però prima dimenticare di attraversare e respirare l’aria della campagna romana.una corsa tra il giorno e la notte, come sono state quelle Olimpiadi che segnarono la fine di un Europa post-billica e l’inizio di un decennio ricco di idee, di sviluppo economico, di rivoluzioni civili e culturali. Il percorso, ironia della sorte, farà passare i corridori vicino all’ obelisco che celebra la vittoria di Mussolini in Etiopia nel 1936. Abebe Bikila queste cose le sa, eccome se le sa! Lui è figlio di un pastore ma anche un soldato dell’esercito etiope. E quel pomeriggio e’ pronto alla partenza sapendo di giocarsi un medaglia e forse qualcosa di più importante e più pesante: l’onore del suo popolo se non di tutta l’Africa.

Bikila senza scarpe

Decide di togliersi le scarpe e chi tra il pubblico, è alla partenza non resta indifferente nel vedere quell’uomo magro e a piedi scalzi: chi meglio di lui poteva mostrare la povertà di quel continente spogliato da qualsiasi tesoro? Correre senza scarpe fu ad onor del vero anche una scelta perché avendo corso sempre senza, sembra che durante gli allenamenti romani i suoi piedi soffrissero, presentando addirittura piccole ferite. O forse come dirà poi lui era per sentire meglio il respiro della storia che stava calpestando e che stava scrivendo.

Lo start

Sono le 17:30 di un 10 settembre che non resterà più un giorno normale per l’atletica. Sulla scalinata del Campiglio ci sono i maratoneti posizionati come centurioni romani in attesa di conoscere il nuovo imperatore che sarebbe dovuto venire fuori da uno dei candidati alla vittoria finale, uno tra il russo Popov, lo jugoslavo Mihalic il neozelandese Mageeo e il francese Mimoun. La corsa è spettacolare sin da subito, dopo pochi chilometri c’è un attacco con una prima selezione. Si stacca un quartetto formato dal belga Van den Driessche, dall’inglese Keily, dal marocchino Abdesselem e dall’ etiope Bikila. Due rappresentanti di nazioni che hanno colonizzato l’Africa e due del continente povero. Si pensa che i quattro possano cedere risucchiati dall’incidente degli inseguitori.

Resta solo l’ Africa

Il quartetto a metà gara si sfalda e tutto da questo momento diventa icona: l’Africa stacca l’Europa come se un mediterraneo attraversasse la gara dividendo i due continenti nel momento in cui sta per imboccare quell’Appia Antica di struggente bellezza, illuminata dalla luce delle fiaccole. Il marocchino vuole la vittoria e nei pressi di porta San Sebastiano allunga prende pochi metri di vantaggio ma sarà il suo canto del cigno. Abebe riprende fiato e accelera arriva accanto al marocchino nemmeno lo guarda, l’etiope ha altro a cui pensare. I piedi nudi non sentono tanto dolore, attacca ancora va via, vola fissando il penultimo punto di riferimento quell’obelisco di Axum, trafugato nel 1937 da Mussolini al popolo d’Etiopia.

I metri finali

Lui lo guarda per pochi intensi secondi, si guarda dietro, vede il marocchino si va allontanando metro dopo metro. Bikila vola sulle pietre lastricate da secoli di storia e da uomini, eserciti, imperatori. Si gira a 100 metri dall’ Arco di Costantino non c’è nessuno dietro di lui, ma più lontano c’è un popolo che si sta riprendendo una grande rivincita sulla Storia con la S maiuscola. Bikila arriva a braccia aperte, ancora più magre rispetto a 2h 15’ 16” prima. È questo infatti il tempo finale nuovo record del mondo. Quel mondo che rimane attonito come un vigile urbano immortalato dalle foto dell’epoca che all’ arrivo osserva un piccolo uomo scalzo con un paio di pantaloncini rossi, una maglietta verde riuscire ad incendiare i cuori di tutti come un moderno Nerone per entrare nella Storia e non uscirne più.

Repetita… iuvant

Quattro anni dopo sarà ancora oro e record mondiale a Tokyo con 2h 12’ 11”. Altra maratona, altra olimpiade, altro luogo, altra storia. Anzi no! È la storia che si ripete quello di Abebe il ragazzo degli altipiani che diede, scalzo, il primo oro al popolo africano nel cuore dell’impero Romano.

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Published by
Valentino Sucato