Per Sinner giustizia antidoping celere e massima privacy…ma è così per tutti?

di Alessandro Teri

Giustizia veloce e rispettosa della privacy, almeno nel caso di Jannik Sinner. Il caso della positività ad una sostanza proibita del tennista italiano, dichiarato però innocente e discolpato da ogni responsabilità, farebbe gridare al miracolo, in quanto a tempestività del giudizio e per l’assenza di ogni minimo clamore mediatico. Un esempio di come dovrebbero andare sempre le cose in ambito di procedimenti relativi al doping, in un campo invece troppo spesso inquinato da speculazioni e fughe di notizie. Buon per Sinner, naturalmente, ma viene naturale chiedersi se il suo status di numero uno al mondo, di fenomeno del tennis mondiale, non abbia influito tutelandolo da eventuali scoop o intoppi burocratici, in una vicenda che comunque potrebbe ancora non essere del tutto risolta, visto che la Wada potrebbe ancora appellarsi al Tas.

Tutto liscio come l’olio

Ad avere emesso il giudizio favorevole all’italiano è stato un tribunale indipendente, chiamato in causa da Sinner dopo aver ricevuto notizia della positività al Clostebol rilevata durante il torneo di Indian Wells, seppur in minima quantità, in seguito a due controlli avvenuti tra marzo e aprile scorsi, in modo da avviare subito l’indagine e sospendendo così lo strop in via cautelare. In questi mesi perciò sono stati compiuti gli accertamenti del caso, con l’azzurro che ha offerto tutta la sua collaborazione, arrivando poi all’emissione del giudizio di innocenza, data l’incolpevole contaminazione da Clostebol a causa di una pomata utilizzata dal fisioterapista, senza essere a conoscenza del fatto che contenesse lo steroide incriminato. Tutto liscio come l’olio, fino a quando Sinner e l’Itia (International Tennis Integrity Agency) non hanno comunicato la chiusura del procedimento in modo congiunto, a poche ore dal successo nel Masters 1000 di Cincinnati, evidentemente per non intralciare la tranquillità dell’atleta, che potrà adesso prendere parte agli Us Open con la testa sgombra da ogni ombra, com’è giusto che sia.

Contaminazioni involontarie

A tale riguardo viene però da pensare al trattamento riservato nemmeno tanto tempo fa a Sara Errani, fresca vincitrice dell’oro olimpico nel doppio femminile, che però tra il 2017 e il 2019 è stata al centro di un ciclone mediatico relativo ad un caso di doping, dato subito in pasto all’opinione pubblica, rimasto sempre abbastanza controverso, con la tennista a gridare la sua innocenza, non creduta e condannata ad uno stop di 10 mesi nonostante la massima integrità sempre dimostrata, dopo essere risultata positiva ad una sostanza antitumorale, non si sa nemmeno quanto dopante, usata dalla nonna, che nei giorni del test in questione aveva cucinato dei tortellini a tutta la famiglia…a proposito di contaminazioni involontarie.

Quantità infinitesimale

E poi c’è chi come l’ex ciclista professionista Stefano Agostini, risultato anche lui positivo al Clostebol per una quantità simile rispetto a quella riscontrata nel caso di Sinner, venendo però squalificato per 15 mesi. “Un episodio che ho cercato in diversi modi di rimuovere dalla mia vita, oggi, a distanza quasi di 11 anni esatti, torna vivido nella mia mente”, scrive Agostini su Facebook, tornando all’episodio che nei fatti mise fine alla sua carriera: “Era il 21 agosto del 2013 quando ad un controllo antidoping a sorpresa risultai positivo per una quantità infinitesimale di una sostanza che non avevo mai sentito prima di allora. Il maledetto Clostebol – ricorda il campione campione italiano Under 23 nel 2010 – Il giorno dopo la squadra mi sospese e un mese dopo mi licenzió (…) Per mesi cercai di spiegare all’ UCI come mai si trovassero nel mio corpo quei 0,7 nanogrammi e fu chiaro a tutti che non ci fosse stato nessun intento di alterare qualsiasi prestazione. Secondo i regolamenti WADA mi diedero 15 mesi di squalifica. Non riuscii ad accettarlo. Smisi di correre a 24 anni”.

Tutela della persona

Casi analoghi, con tutte le dovute differenze del caso, alla luce dei quali viene solo da constatare diversi trattamenti, sperando che almeno quanto successo a Sinner, giustamente tutelato nella sua persona e nella sua attività sportiva, diventi d’ora in avanti la regola, e non invece l’eccezione riservata ad un super campione.