La scienza lo dice da anni, i grandi team lo applicano. Ma nel nostro Paese, a gennaio, la palestra si svuota e la forza sparisce dai programmi. Perché accade ancora?
Un rituale che si ripete
Ogni novembre, puntuale come un meccanismo, le pagine social e i forum dedicati al ciclismo tornano a parlare di palestra, forza, mobilità e core stability.
È quasi un rito stagionale, il periodo in cui si “mette forza”, si “costruisce la base”, si torna a sollevare qualche peso dopo mesi di sola bici.
Poi arriva gennaio, e il dibattito si spegne. Le palestre si svuotano, i manubri restano a riposo, e la forza diventa un argomento dimenticato.
Il paradosso è evidente: mentre molti discutono se la forza serva davvero, la scienza e la pratica dei grandi team dicono la stessa cosa da oltre un decennio. Allenare la forza in modo costante, con sovraccarichi reali e metodo, è oggi uno dei pilastri della prestazione ciclistica moderna.
Nel ciclismo si parla spesso di “lavori di forza”, ma troppo spesso si confonde la forza allenante con la forza percepita.
Fare qualche esercizio a corpo libero, un po’ di isometria o un circuito a basso carico può avere valore posturale o preventivo, ma non basta per stimolare adattamenti neuromuscolari reali.
Per migliorare la potenza, la coordinazione intramuscolare e la resistenza specifica, serve un sovraccarico meccanico progressivo.
È questo stimolo, e non la semplice ripetizione del gesto, a costringere il sistema nervoso e muscolare ad adattarsi, reclutando più fibre motorie e migliorando la capacità di generare forza a parità di sforzo metabolico.
È il principio su cui si basa l’heavy strength training, ovvero l’allenamento con carichi elevati e basse ripetizioni.
La forza non nasce dal movimento in sé, ma dall’intensità che costringe il corpo a rispondere.
Negli ultimi quindici anni, numerosi studi hanno dimostrato che integrare la forza “pesante” all’endurance porta benefici diretti e misurabili sulla prestazione.
La meta-analisi di Beattie et al. (2014), pubblicata su Sports Medicine, è una delle più complete: analizzando decine di ricerche su ciclisti e triatleti, gli autori hanno concluso che chi combina forza e resistenza migliora la performance nei time trial, la cycling economy e la potenza sostenibile, senza alcun effetto negativo sul VO₂max.
La review di Rønnestad e Mujika (2014), apparsa sul Scandinavian Journal of Medicine & Science in Sports, ha confermato che nel ciclismo il lavoro “heavy” ha effetti più marcati sull’efficienza di pedalata rispetto a quello esplosivo o isometrico. In parole semplici, chi lavora con carichi veri diventa più economico nel produrre watt.
Nel 2016 e 2017, Vikmoen e colleghi hanno condotto uno dei trial più noti su cicliste d’élite, dimostrando che undici settimane di allenamento con sovraccarichi determinano un aumento della fractional utilization del VO₂max, della cycling economy e della prestazione a cronometro rispetto a chi si allena solo in bici.
Risultati analoghi sono stati confermati da Rønnestad et al. (2015) su ciclisti professionisti, con incrementi della potenza al punto dei 4 mmol/L di lattato, del Wmax e migliori performance in prove “all-out” di 40 minuti.
Una revisione aggiornata del 2025 firmata da Llanos-Lagos et al., pubblicata sul European Journal of Applied Physiology, ha confermato che la forza pesante migliora la time trial performance e la resistenza alla fatica (time-to-exhaustion), grazie a una più alta efficienza neuromuscolare.
Il messaggio è chiaro: senza sovraccarico non c’è adattamento.
E senza adattamento, la forza resta un concetto, non una qualità.
Allenarsi con carichi reali non serve solo a “fare watt”, ma a cambiare la fisiologia del gesto.
Il corpo risponde migliorando il reclutamento e la sincronizzazione delle unità motorie, aumentando la stiffness tendinea, cioè la capacità del muscolo di trasmettere forza senza dispersione, e incrementando la RFD (Rate of Force Development), essenziale nei rilanci, negli sprint e nelle salite a bassa cadenza.
Tradotto nel linguaggio del ciclismo: più spinta con meno fatica.
È la ragione per cui molti atleti diventano più efficienti anche senza variazioni nel VO₂max: producono la stessa potenza con un minor costo energetico.
I dati disponibili confermano che, tra i team del WorldTour, la forza non è più una parentesi invernale, ma una componente integrata e costante del piano annuale di preparazione
Il Team Visma | Lease a Bike (ex Jumbo-Visma) è tra i pionieri: sedute di forza pianificate ogni settimana, nutrizione calibrata prima e durante l’allenamento, monitoraggio dei carichi interni e attenzione alla qualità tecnica dei movimenti.
L’obiettivo non è “fare massa”, ma migliorare la resilienza neuromuscolare e la tolleranza ai carichi di lavoro su strada.
I preparatori del team parlano di off-bike conditioning: un’estensione funzionale del ciclismo, dove si può lavorare in modo controllato su aspetti che in bici non si possono dosare, come la fase eccentrica o la stabilità articolare.
Anche la Bora–Hansgrohe, sotto la guida di Dan Lorang, adotta la stessa filosofia. Lorang, allenatore di atleti come Jan Frodeno, sintetizza così il suo approccio:
“La costanza viene prima dell’intensità. Non serve spingere al massimo per due mesi se poi si smette per dieci.”
Una frase che racchiude l’essenza del metodo moderno: la forza va mantenuta tutto l’anno.
Due sedute a settimana nella fase di costruzione.
Una seduta di mantenimento in stagione con micro-dosi mirate, due o tre serie da tre o quattro ripetizioni, per conservare l’adattamento senza interferire con il lavoro su strada.
Lo stesso principio è ormai adottato anche da UAE Team Emirates, Ineos Grenadiers e Soudal–Quick Step, dove la forza viene integrata nella periodizzazione polarizzata, gestendo con precisione i tempi di recupero e la fatica neuromuscolare.
La nuova regola è semplice: non allenare tutto insieme, ma allenare tutto sempre.
Anche in Italia qualcosa si muove. Lo staff performance della Nazionale italiana di ciclismo, guidato da Diego Bragato, ha da tempo introdotto un approccio più moderno al lavoro di forza, soprattutto tra i velocisti.
Durante un’intervista rilasciata a BiciPro nel corso di un raduno a Noto, Bragato ha spiegato quanto sia importante introdurre precocemente la cultura della palestra:
«Quello che chiediamo da anni nei corsi di formazione è che i ragazzi crescano con la cultura del lavoro in palestra. Non pensando a quanto peso alzino, andrebbe bene che lavorassero anche con un bastone della scuola. È importante che imparino a fare i movimenti base dell’atletismo e della pesistica, perché servono per completare l’atleta».
Un concetto semplice ma fondamentale: prima ancora del carico, serve la competenza motoria.
La carenza di mobilità, di tecnica e di confidenza con i sovraccarichi — come spiegava lo stesso Bragato osservando un atleta durante l’alzata del bilanciere — è il segno che il ciclismo italiano paga ancora il prezzo di un approccio tardivo alla forza.
E forse è proprio qui che inizia il divario con i Paesi che, invece, da anni integrano il lavoro in palestra fin dalle categorie giovanili.
Il problema, in Italia, non è la mancanza di conoscenza, ma di cultura.
Per troppo tempo la palestra è stata vista come un “mondo a parte”, utile d’inverno e superflua in stagione.
A questo si aggiungono difficoltà logistiche, viaggi, gare e il vecchio timore che lavorare con i pesi “tolga gamba”.
Oggi sappiamo che è vero l’opposto: la forza, se mantenuta, migliora la resa in bici e riduce l’affaticamento cronico.
Il concetto di micro-dose ha risolto anche il problema del tempo. Basta una singola seduta settimanale, breve ma ad alta qualità, per mantenere gli adattamenti acquisiti. Smettere completamente significa regredire, proprio quando la stagione entra nel vivo.
Gli studi scientifici, i dati dei team professionistici e l’esperienza dei preparatori convergono in un messaggio unico: la forza non è un allenamento stagionale, è una condizione permanente.
Allenarla significa migliorare la performance, ridurre il rischio di infortuni e sostenere i carichi del ciclismo moderno.
Non serve “fare body building”, ma allenare con criterio il sistema nervoso e muscolo-tendineo per trasferire più forza ai pedali e gestire meglio la fatica.
In un contesto dove i Paesi emergenti investono in ricerca e innovazione, restare ancorati all’idea che “la palestra è per l’inverno” è un lusso che il ciclismo italiano non può più permettersi.
La differenza tra chi si ferma a gennaio e chi continua tutto l’anno non è una questione di abitudine, ma di evoluzione.