Daniela Cappadonia, la maratoneta simbolo di resilienza

di Redazione

Daniela Cappadonia non è solo una docente di Lettere e una maratoneta; è un simbolo vivente di resilienza. La sua storia cambia per sempre con la diagnosi di un tumore al seno, una sfida che avrebbe potuto fermare chiunque, ma che in lei ha acceso una “cocciutaggine” fuori dal comune.

Daniela ha sfidato i limiti della medicina con la stessa tenacia con cui affronta le salite siciliane. Dalla Maratona di New York a quella di Atene, ogni suo passo è stato un inno alla resilienza, un volo simile a quello del calabrone che sfida le leggi della fisica. Questa forza straordinaria le è valsa il ruolo di tedofora per Milano Cortina 2026: un onore che ha unito l’emozione olimpica all’abbraccio della sua terra. Proprio il suo paese, Castellana Sicula, ha voluto celebrare questa vittoria umana con una targa ufficiale, simbolo di una comunità che si riconosce nel suo esempio di luce e speranza.

Le sue imprese sportive sono pietre miliari di una rinascita:

  • La Maratona di New York: Dove ha abbattuto il famigerato “muro”, trovando la forza di chiudere la gara tra le strade della Grande Mela.

  • La Maratona di Atene: Un doppio traguardo nello stadio Panathinaiko, portando a casa medaglie che oggi mostra ai suoi studenti come lezioni di vita.

 

L’Intervista: Nella “bolla” della fiamma olimpica

Come si passa dal correre una maratona (come New York o Atene) al percorrere pochi, ma intensissimi, metri con la fiamma olimpica? Quale delle due esperienze richiede più “fiato” emotivo?

Inizialmente questi duecento metri mi sembravano irrisori rispetto alla distanza impegnativa della maratona, invece ho dovuto ricredermi: quando corri in una gara devi stare focalizzata su diversi fattori, devi mantenere sempre la lucidità; nel breve tratto in cui ho portato la fiamma olimpica ero in una bolla emotiva, solo io e la fiaccola, il cui peso morale era più significativo di quello fisico. Non vedevo la strada, correvo quasi in trance.

Essere scelti come tedofori va oltre il merito atletico; è un riconoscimento ai valori umani. Secondo lei, qual è il valore che ha pesato di più nella sua nomina?

Nel mio caso si sono sommate situazioni quasi antitetiche: la fragilità dovuta alla malattia e la cocciutaggine di voler correre nonostante tutto, nonostante un corpo asimmetrico e pesante, un po’ come la storia del calabrone che riesce a volare contro le leggi della fisica. E poi, a questo si aggiunge la mia passione “patologica” per la Grecia. Quindi tenacia, coraggio, voglia di superare i propri limiti e azzurro Grecia sono gli elementi che mi hanno portato sulla strada verso Milano Cortina 2026.

Cosa ha detto a se stessa in quegli ultimi secondi di silenzio e attesa, prima di iniziare a correre con la torcia?

Va’ e sii felice. Illumina la strada.

Chi è stato il primo a scattarle una foto o ad abbracciarla non appena posata la torcia?

La mia amica Valentina, è molto reattiva: mi ha scattato le prime foto e i video mentre correvo, e alla fine è corsa ad abbracciarmi. Ci conosciamo da 15 anni e il nostro è un legame speciale.

Come hanno reagito i suoi studenti sapendo che la loro insegnante di lettere è stata una tedofora olimpica? Usa la sua storia per spiegare loro concetti come la “catarsi” o l’eroismo epico?

Con le mie alunne e i miei alunni ho un dialogo sempre ricco e diretto: loro sanno tutto della mia attività sportiva; quando torno dalle gare porto sempre le mie medaglie a scuola, le guardiamo insieme e racconto gli highlights e il significato di qualche medaglia speciale, ad esempio quella di Atene su cui era rappresentata una “strummula” (la trottola di legno) che simboleggia il ritmo della vita.

Per quanto riguarda il mio compito di tedofora, ho usato questa occasione per fare una lezione sulla fiamma olimpica nel tempo e i valori forti che essa porta lungo il percorso. Abbiamo visto i momenti salienti dell’accensione ad Olimpia e a Roma e alcuni passaggi particolarmente emozionanti, come quello in gommone sulle cascate delle Marmore. Uso la mia storia per incitarli nelle loro piccole sfide quotidiane, senza ingigantire le mie imprese sul filone epico.

Ai suoi studenti insegna che la vulnerabilità può essere una forza. In che modo l’esperienza di Milano Cortina ha dimostrato che un “difetto” o una cicatrice possono diventare un punto di distinzione mondiale?

Milano Cortina 2026 ha chiuso il cerchio della mia attività agonistica: al momento ho scelto di continuare a correre senza obiettivi particolari, di godermi il percorso e di fermarmi quando ne ho voglia, senza rispettare tabelle e scadenze. Le mie cicatrici adesso devono passare in secondo piano: spazio alla normalità. Voglio usare quest’ultima esperienza olimpica per ispirare i giovani del mio territorio ad impegnarsi nello sport e le donne a trovare sempre più spazio per il proprio benessere, assumendo nuove priorità nella loro routine.

Le Madonie offrono percorsi spettacolari ma impegnativi. Quanto ha influito la durezza e la bellezza del territorio siciliano nella sua preparazione atletica?

Ho corso sempre da sola sulle colline madonite: un paesaggio cangiante nell’alternarsi delle stagioni, dal verde smeraldo della primavera al giallo accecante estivo. La solitudine e il dislivello sensibile del percorso hanno temprato corpo e mente: è paradossale ma amo di più la corsa difficile che la pianura costante ma noiosa.

Spesso dice che la corsa l’ha salvata. In che modo la disciplina dell’allenamento l’aiuta oggi a gestire l’emozione di essere diventata un esempio per molti?

Sono diventata una pianificatrice “seriale”: riesco ad incastrare allenamenti, impegni lavorativi e familiari con estremo rigore. Questo mi ha aiutato ad essere sempre lucida e a guardare questo momento di notorietà con distacco. Sono la Daniela di sempre: semplice, sognatrice e disponibile con tutti.

Cosa succede nella sua mente tra il trentesimo chilometro e il traguardo di una maratona? C’è un mantra o una parola che ripete a se stessa?

Il famoso muro dei maratoneti: a volte è al trentesimo, a volte al trentaduesimo, a New York è arrivato al trentanovesimo. Parlo con me stessa, a volte in silenzio, a volte a voce alta: mi dico “Calma, calma, calma” oppure “Smettila di pensare e guarda avanti”.

Dopo l’emozione di New York e la storia di Atene, c’è una maratona che ha messo nel mirino per il futuro?

Se un giorno dovessi tornare a correre una maratona, mi piacerebbe cimentarmi in qualcosa di estremo: una corsa tra i ghiacci magari perché io odio il caldo, sarebbe fantastico correre senza la paura delle alte temperature. Oppure la maratona dei castelli di Mèdoc, dove è obbligatorio vestirsi secondo un tema diverso ogni anno. Ma il sogno è di aggiungere la terza medaglia ateniese alle due già conquistate, perché si sa che in Grecia mi sento a casa.