Olimpiadi di Tokyo 2020: sì alle culotte
di Silvia ConsoleIn evidenza22 Luglio 2021 - 10:21
A pochissimi giorni dall’inizio delle tanto attese Olimpiadi di Tokyo 2020, torniamo a parlare di sessismo e outfit sportivo. È recente infatti la notizia che La Federazione Internazionale di Pallavolo ha aggiornato le sue regole in vista delle Olimpiadi di Tokyo, dove le donne potranno scegliere di giocare in culotte, pantaloncini e t-shirt, oltre a bikini o costumi da bagno interi.
La decisione segue alle proteste che si sono sollevate per la multa da 1.500 euro inflitta alla Nazionale norvegese di beach handball (pallamano da spiaggia) per l’abbigliamento “improprio” delle atlete. La squadra è scesa in campo per la finale terzo e quarto posto del campionato europeo, indossando delle culotte e non gli slip da bikini previsti dal regolamento.
Risultato?
Con un comunicato l’EHF (European Handball Federation) ha affermato che la commissione disciplinare ha inflitto una multa di “150 euro a giocatrice, per un totale di 1.500 euro”.
Di contro, Il ministro norvegese della Cultura e dello Sport, Abid Raja, ha twittato: “È ridicolo. È necessario un cambiamento di atteggiamento nel mondo ‘macho’ e conservatore dello sport internazionale”.
A favore e nel rispetto della scelta delle proprie atlete La Federazione norvegese di handball si è assunta l’onore finanziario della multa e portando avanti la richiesta sacrosanta delle atlete di gareggiare sentendosi a proprio agio.
La stessa richiesta “Libertà di scelta e libertà di poter gareggiare senza sentirsi a disagio” era stata avanzata da Sara Voss e compagne nel corso degli europei di ginnastica di Basilea e anche in questo caso le atlete hanno ricevuto il supporto della propria federazione.
Ancora una presa di posizione che ci piace segnalare è quella delle atlete tedesche Karla Borger e Julia Sude che avevano minacciato di non partecipare al torneo di beach volley in programma a Doha lo scorso marzo, in Qatar perché le autorità locali avevano vietato l’utilizzo del bikini.
Buone notizie quindi sul fronte della lotta al sessismo ma ci viene anche da pensare che (forse) questa “libera scelta” non riguarda tanto gli atleti quanto le nazioni per le quali gareggiano.