Le grandi lotte, quando lo sport si fa portavoce dei diritti umani Parte II

di Annamaria Mangiacasale

Tutte le grandi lotte attraverso cui si sono raggiunti traguardi, realizzati desideri, apportato cambiamenti, hanno avuto un inizio, talvolta timido, incerto, al quale sono seguiti altri passi, piccoli, ma costanti. 

Per il coraggio di quei passi verso un mondo libero dal cancro, così come lo aveva coraggiosamente immaginato, va ricordato Terry Fox. 

Nato in Canada nel Luglio del 1958, si cimentò con successo fin da piccolo in diversi sport. Nel 1977, a seguito di un incidente, scoprì di avere un cancro alle ossa e subì per questo l’amputazione della gamba destra. Ascoltando le storie di sofferenza degli altri pazienti, Terry decide che doveva fare qualcosa di più: tentare l’impossibile, per mostrare che può essere fatto. Nel 1980 il ventiduenne Fox decide di attraversare a piedi il Canada , partendo dalla costa atlantica, per arrivare alla pacifica, correndo ogni giorno per 42 Km, la lunghezza di una maratona e raccogliendo un dollaro per ogni cittadino canadese. Nasce così la Maratona della Speranza, per dimostrare che l’Uomo non è qualcosa in meno perché è senza una gamba, ma anzi può essere qualcosa in più. 

L’impresa inizia subito in salita. Nonostante sia primavera inoltrata, Terry deve affrontare freddo e neve, raccogliendo solo pochi fondi. Insiste: pioggia, caldo, vento non lo fermano e costante come il suo passo inizia a crescere l’attenzione per quell’impresa. 

Correrà per 143 giorni e 5373 km, raccogliendo 1milione e 700 mila dollari. La sua maratona finisce qui, ma non la speranza profusa. La raccolta continua grazie ad eventi organizzate in TV ed altre campagne. Il 1981 è l’anno di realizzazione del suo sogno: un dollaro per ogni abitante del Canada è stato raccolto, superando i 22 milioni di dollari. 

Dalla sua battaglia è nata la Terry Fox Foundation, che si occupa ancora oggi, non soltanto di organizzare la gara, ma di coordinare una lunga serie di attività di raccolta fondi per la ricerca. Si stima a tutt’oggi che la Fondazione abbia raccolto ben oltre 800 milioni di dollari, una cifra che, se non conoscessimo il percorso che ha portato alla sua realizzazione, rimarrebbe un freddo dato numerico, incapace da solo di raccontarci la persona. 

I nuotatori ben sanno quanto un numero, un’infinitesimale parte di esso, possa cambiare il loro destino. Nel caso di Yusra Mardini, non è solo una questione cronometrica, lei stessa è solo un numero: una tra le migliaia di ragazze che dalla Siria fuggono verso l’Europa e che oggi rappresenta con fierezza 80 milioni di rifugiati in tutto il Mondo. La storia di Yusra inizia nell’estate del 2015, quando durante un allenamento insieme alla sorella nella piscina di Damasco, una bomba squarcia il soffitto e cade in acqua. Per una fortuita fatalità non esplode. Le sorelle Mardini decidono di scappare dalla guerra; per raggiungere il nostro continente pagano gli scafisti che le imbarcano su un gommone diretto all’isola di Lesbo: 20 passeggeri, per un gommone da 9 persone. Dopo soli 15 minuti di navigazione il motore si blocca; le persone iniziano a muoversi per lo spavento e l’imbarcazione diventa instabile, imbarca acqua. I viaggiatori iniziano a gettare i bagagli in acqua, ma il gommone è comunque destinato ad affondare e la Terra è ancora troppo lontana. Yusra e Sara decidono di fare l’unica cosa che possono: nuotare. Insieme ad altri due uomini, si tuffano in acqua per scaricare peso e rimangono lì nel buio, attaccati al gommone che smette di imbarcare acqua. Forti dei loro allenamenti riescono a spingere la barca, percorrendo quasi 5 km, immerse per 3 ore nel mare freddo, fino a far toccare terra al gommone. 

Le sorelle Mardini
AP Photo/Michael Sohn

Le sorelle Mardini vengono poi messe in contatto con un club di nuoto e tornano in piscina, senza bombe che possano cadere e dove ci sei solo tu, la tua cuffia e gli altri che nuotano con te, non importando che siano siriani, italiani, tedeschi. Yusra ha partecipato alle Olimpiadi, ha raccontato la sua storia nel libro Butterfly ed è diventata ambasciatore per l’Alto Commissariato  delle Nazioni Unite.

La sua è la lotta per il diritto a non essere solo numeri.