Le truppe russe violano la tregua olimpica

di Annamaria Mangiacasale

L’ingresso delle truppe russe in territorio ucraino mette in crisi un’ideologia che affonda le sue radici in un arco di storia lungo circa mille anni, quello della tregua olimpica. La Ekecheiria fu istituita dagli antichi Greci: una tregua sacra per consentire la partecipazione ai Giochi Olimpici di tutti gli atleti e spettatori delle città stato greche, quasi costantemente in conflitto tra loro. Era stata rinnovata lo scorso 2 Dicembre, con la speranza che l’ideale olimpico, anche in tempi difficili come i nostri, potesse ancora dare il proprio contributo alla pace nel mondo. 

Nel susseguirsi degli eventi storici, tuttavia, più volte lo spirito dei Giochi è stato messo a dura prova. 

Tutto il periodo dal secondo dopoguerra fino agli anni 90 vede i due blocchi USA e URSS contrapporsi sui campi di battaglia, così come in quelli da gioco. La lotta per il controllo del mondo da parte delle due super potenze raggiunge punte drammatiche, come la Guerra di Corea e quella del Vietnam. La Guerra Fredda si chiude con il crollo del Muro di Berlino nel 1979. Primeggiare sul nemico era diventata quasi un’ossessione per gli atleti delle due fazioni. Al boicottaggio americano delle Olimpiadi di Mosca del 1980, seguì quello russo alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984. Gli atleti dei due Paesi non poterono prender parte ai giochi per motivi politici più grandi di loro, mettendo in crisi il primo dei valori dei Giochi, quello che dovrebbe essere alla base dello sport.   

Lo spirito Olimpico, grazie alle sue profonde radici e al rispetto della tregua olimpica, sembrava aver resistito e superato le diverse contingenze della storia. Nel 2016 il Comitato Esecutivo del Comitato Olimpico Internazionale, crea per la prima volta la Squadra Olimpica dei Rifugiati, simbolo di speranza per tutti i rifugiati del mondo, con lo scopo di rendere il mondo più consapevole sull’entità di questa problematica. 

L’atto russo, però spezza quello che sembrava un legame ormai inscindibile tra Giochi Olimpici e pace. Uno schiaffo in pieno volto dato allo sport. L’appello del Presidente del CIO Thomas Bach, pronunciato durante la cerimonia di apertura ai Giochi di Pechino 2022, cade nel vuoto.

“L’obiettivo è unire l’umanità in tutta la sua diversità, questa è una missione che è stata approvata dalle Nazioni Unite con la risoluzione approvata per la tregua olimpica. Gli atleti olimpici sono promotori della pace. Faccio appello a tutti i politici del mondo: rispettate la tregua olimpica, date una possibilità alla pace” 

L’inizio del conflitto ha creato un effetto tsunami sullo sport, tra eventi annullati, sospesi o rinviati. Gli sportivi, i campioni e le istituzioni, difatti hanno da subito assunto drastiche decisioni, in maniera unanime. Il mondo dello sport si schiera contro il conflitto: dal calcio, dove abbiamo assistito allo spostamento della sede della finale di Champions League a Parigi, alla pallacanestro, che valuta l’esclusione delle squadre russe. Sono gesti che, seppur simbolici, hanno risvolti economici concreti, come dimostra il caso Gazprom. L’azienda energetica russa, parzialmente controllata dallo Stato, è dal 2012 uno degli sponsor maggiori della Champions League. Un legame economico forte, che mette in crisi la Federazione calcistica europea e che con tutta probabilità si risolverà con l’addio a Gazprom e con la conseguente rinuncia a 40 milioni l’anno.

Gli atleti dalla loro parte non fanno mancare reazioni e messaggi di vicinanza: dall’appello di Schevchenko, alla scritta sulla telecamera del tennista russo Rublev, fino a De Zerbi. L’allenatore dello Shakhtar Donetsk, ha rifiutato ben due occasioni di lasciare il Paese e partire per raggiungere l’Europa. Queste le sue parole:

Adesso siamo qui coi giocatori brasiliani, dicevo, con cui abbiamo una responsabilità da persone adulte. Loro sono giovani e noi più anziano dobbiamo essere protettivi, garantire quel minimo di sicurezza che, a dire il vero, dentro di te non c’è nella maniera più assoluta. Ancor di più sono preoccupato da morire per i giocatori ucraini: non sappiamo assolutamente che fine hanno fatto, alcuni di loro vivono da solo ed è anche possibile che tornino alle armi. 

Il messaggio simbolico più forte ci arriva dalle Olimpiadi di Pechino, concluse Domenica scorsa. Al termine della gara del freestyle skiing, specialità “aerials”, l’altleta russo Ilia Burov e quello ucraino Oleksandr Abramenko, festeggiano il bronzo e l’argento abbracciandosi. Un’immagine che va oltre la crisi che in questi giorni tiene tutti noi col fiato sospeso. Un inno alla pace e alla solidarietà. 

“Siamo persone dello stesso pianeta. Io non so cosa fare. Io sono solo per la pace nel mondo», aveva commentato il freestyler degli sci, aggiungendo che quando vinci «sei in una tale euforia che i tuoi veri sentimenti si manifestano per quello che realmente sono. Mostri chi sei veramente. Va bene quando ti congratuli e abbracci i tuoi compagni di gara. E non mi interessa di che nazionalità siano. Ecco, siamo soltanto uomini.” (O. Abramenko)